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Dammi d’essere un’infestante,
trasformami in vilucchio rampicante,
dammi di strisciare nell’immobilità delle sabbie
e d’insinuarmi tra le sbarre delle gabbie.
Dammi di sporcarmi di crostoni d’argilla,
di colorarmi con terre arrossate,
di protendermi nello spazio di un temporale
in un cielo volubile,
d’attaccarmi ad un legno corruttibile,
trasformando il lercio in giardino di maggio
baciato dal libeccio, illuminato da un raggio.
Dammi d’essere campanula che tintinna,
bianca corolla che s’apre incorrotta ogni mattina,
fiore flebile dall’animo rapace
c’artiglia il seccume, portando nell’anima la pace.
Non sono fragile dentro,
son stelo inviluppato privo di un centro,
volteggiando scovo appigli
e li trasformo in giacigli,
nel contorcermi voluto,
aggiro e svolto svendendo amore incondizionato
tra le infinite sfaccettature del tuo prato.